lunedì 23 luglio 2012

MARTA

Gianfranco Brevetto, Marta, 2012
Javier Marías, Mañana en la batalla piensa en mí, 1994

A nessuno verrebbe in mente di potersi ritrovare, di punto in bianco, al fianco di una persona morta. O meglio, di una persona non del tutto viva. Ci si ritrova stupefatti, increduli. Poi, riprendendosi lentamente, si prova a ricostruire gli eventi, sempre però tendendo a nascondere  i fatti e le circostanze più scabrose, relative all'accaduto. Si comprende che è assolutamente necessario ristabilire l'ordine delle cose, l'ordine del mondo. Al contempo si comprende che tutta una serie di oggetti, di discorsi, di passioni, andranno persi per sempre. E domani, o comunque presto, nessuno li ricorderà. Se lui, invece di seguirla, ammaliato da quel suo sguardo, da quelle sue gambe, da quei suo tacchi; se lui - dicevo - avesse in quel momento deciso di non seguirla, di evitare di incontrarla, forse lei non sarebbe morta. Anche se forse non sarebbe mai diventata realmente viva. Lui certamente non lo avrebbe mai saputo, e questo è certamente un fatto!
Marta se ne stava lì seduta, dalla sua borsa fuoriuscivano fotografie, oggetti, ricordi, libri. Un libro. Ma non era il libro di Marta. Il libro di Marta doveva essere ancora scritto, quello. Lei sarebbe morta, la storia non sarebbe mai nata, una nuova storia.
Quella che era stata già scritta la vedeva lì, distesa sul letto, senza vita, con un amante al suo fianco incredulo, ossessionato da mille pensieri che gli frullavano contemporaneamente nella testa; pensieri che non riusciva ad esprimere, storie che non sarebbe riuscito mai a narrare. Eppoi - la cosa più orribile - c'era di là il bambino che inconsapevole di tutto dormiva, tranquillo. nella sua stanzetta, ignaro del fatto che la sua mamma, al risveglio, non ci sarebbe stata oramai più. Il padre, lui sì, lo avrebbe rivisto, anche se non subito. Era partito per Londra, dove si trovava quella notte, e non sarebbe rientrato prima di un paio di giorni. Una notte, una volta; una volta sola con quel nuovo amante. E durante quel tradimento, d'improvviso, si sarebbe accasciata per sempre su di sé, dentro di sé.
Doveva riflettere: cosa fare del bambino, di quel corpo oramai senza vita, di quel marito ignaro che si trovava altrove, di quegli oggetti, dei vestiti appena dismessi da Marta e che non avrebbe mai più potuto indossare. Andò di là in cucina, per riordinare le coordinate del suo mondo. Una birra, anzi un cognac. Forte. Due.
Fuggire ed entrare nel primo ristorante e incontrare di nuovo lei, Marta.
Seguirla. Affascinato, senza ragione. Con stupore, solo con stupore. Vivere, rivivere, scrivere. Come se fosse sempre la prima volta. Come se potesse realmente esistere una sola prima volta.

di Gianfranco Pecchinenda

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